Anno XXIV - fascicolo I - II 1981 | ESTRATTO - Pagg. 225-245 |
Direzione - Redazione - Amministrazione: O.P.I.S. - Lecce | |
EDITRICE SALENTINA - GALATINA |
In questo paragrafo si fa un raffronto dei dati illustrati in precedenza, sia per verificare quanto è cambiato dopo l'entrata in vigore della legge 180, sia per trarre eventualmente indicazioni per il lavoro futuro. Occorre premettere che i ricoveri all'O.P.I.S. si riferiscono a tutte e 3 le Province: quindi sino al 16-5-1978 vi sono compresi sia i ricoveri coatti che quelli volontari delle Province di Brindisi e Taranto, in seguito solo quelli volontari di queste 2 Province.
Nel corso degli anni esaminati si è verificata una diminuzione globale del numero dei ricoveri nelle strutture psichiatriche della Provincia di Lecce (2.025 nel '76, 1.799 nel '77, 1.470 nel '78, 1.436 nel '79, 1.394 nell'80, 702 nel 1° semestre '81). A causa però della variabile di cui si è detto ciò non significa diminuzione dei ricoveri di pazienti provenienti dalla Provincia di Lecce.
Le ammissioni all'O.P.I.S. di pazienti provenienti dalla Provincia di Lecce sono pari infatti, in via approssimativa, a circa il 50% del totale (Stefanachi e coll., 1972; Scapati e Greco, 1979). In tali condizioni possiamo calcolare il numero dei ricoveri provenienti dalla sola Provincia di Lecce, sia pure in maniera approssimativa, applicando la seguente formula:
Come interpretare questo incremento delle ammissioni e dimissioni? L'interpretazione più verosimile è che esso rappresenti il fenomeno della «porta girevole» che si è verificato in esperienze di demanicomializzazione. «Si tratta di una interazione tra famiglia, paziente e operatori ... che ricorda i circuiti a feed-back ... Con minimi interventi terapeutici si può trasformare il feed-back da positivo a negativo ed ottenere un rallentarsi progressivo dell'"entra ed esci" fino all'uscita definitiva» (De Giacomo, 1973).
Il raffronto dei dati relativi ai ricoveri coatti e volontari non è possibile poiché non sono pervenuti quelli relativi al S.D.C. di Casarano e alla Casa di Cura «Villa Verde», presso la quale sono stati effettuati alcuni ricoveri con T.S.O. a seguito di convenzione con la Regione Puglia.
Dai dati illustrati non è possibile conoscere se l'aumento dei ricoveri si è verificato a carico dei ricoveri con T.S.O. o dei volontari, o di entrambi. In particolare non siamo in grado di sapere quale tipo di pazienti ha subito più ricoveri rispetto agli anni precedenti, né se l'aumento riguarda i primi ricoveri o i rientri. Un tale tipo di analisi può essere possibile solo con l'adozione del registro dei casi, strumento utilissimo a «saldare il momento epidemiologico di analisi e di ricerca al momento pratico di prevenzione delle malattie mentali» (Marinoni, 1978).
Limitando l'analisi ai dati disponibili emerge abbastanza netta la riduzione dei ricoveri coatti presso le singole strutture psichiatriche ospedaliere che passano dal 69,12% del '76 e dal 69,09% del '77 per l'O.P.I.S., a valori sempre più bassi sino a meno del 50% per i S.D.C. Parallelamente si verifica un incremento percentuale dei ricoveri volontari.
Le giornate di degenza mostrano una diminuzione negli anni che è pari a circa i 2/3 dal '70 all'80. Calcolando le giornate di degenza per i pazienti della Provincia di Lecce (con la formula di cui sopra) otteniamo una diminuzione progressiva, contrariamente a quanto si era verificato per le ammissioni e dimissioni.
Da questo raffronto è possibile affermare che in Provincia di Lecce i primi anni dopo la 180 appaiono caratterizzati da un aumento dei ricoveri nelle strutture psichiatriche ospedaliere (che non significa aumento dei pazienti ricoverati) e da un aumento parallelo delle dimissioni, da una diminuzione percentuale dei ricoveri con T.S.O. rispetto a quelli volontari, e da una dinimuzione delle giornate di degenza. Le giornate di degenza diminuiscono per le strutture psichiatriche «tradizionali» (O.P.I.S. e «Villa Verde») mentre aumentano per i S.D.C.
Le unità in servizio sono in notevole sproporzione fra le strutture ospedaliere e quelle territoriali, e questo a ben 3 anni dall'approvazione della legge 180.
CONCLUSIONELa legge 180 ha visto la Provincia di Legge adeguarsi con discreta rapidità nella realizzazione dei S.D.C., nel potenziamento dei C.I.M. sia come numero che come personale in servizio, in sostanza nella scelta territoriale. Meno sollecita è stata nella realizzazione delle strutture intermedie. Restano aperte comunque alcune questioni di non poco rilievo.
Permane da parte dell'Amministrazione Provinciale la delega quasi totale della competenza assistenziale (se si esclude la concessione del sussidio post-ospedaliero) al Consorzio O.P.I.S. Tale situazione riduce notevolmente la «motivazione ad organizzare servizi alternativi» (Comodo, 1980). Dato questo stato di cose i C.I.M. hanno scarse o nulle possibilità di incidere sulla struttura manicomiale e anche sui S.D.C. L'Ospedale Psichiatrico se pur ridimensionato come struttura, registra ancora un discreto numero di ricoveri (pari all'incirca ai ricoveri volontari dei S.D.C.) e una presenza di oltre 600 pazienti cronici lungodegenti, di cui almeno 300 di provenienza della Provincia di Lecce e di questi ben 200 con oltre 50 anni di età (Mazzeo e coll., 1981), ai quali nessuno ha voglia di pensare concretamente. né di impegnarsi per un lavoro, sia pur tardivo ma non per questo inutile, di deistituzionalizzazione.
I S.D.C. sono stati realizzati dopo pochi mesi dall'entrata in vigore della legge 180. Lungi dall'essere «organicamente e funzionalmente collegati, in forma dipartimentale» con le strutture territoriali (cfr. legge 180/78 Art. 6 e legge 833/78 Art. 34) hanno rappresentato in concreto la riproposizione a livello di Ospedale Generale della medesima ideologia dell'esclusione che caratterizza le istituzioni manicomiali, sia pure mitigata dalla durata della degenza notevolmente ridotta, a volte persino inferiore alla necessità clinica reale. I SDC «pur costituendo indubbiamente un passo avanti rispetto al manicomio, si collocano ... più come propaggini ospedaliere che come servizi capaci di aprirsi in modo non preformato alle istanze e ai bisogni del cittadino» (Misiti, 1979).
L'assenza assoluta di una qualsiasi forma di collegamento fra S.D.C. e C.I.M. sembra essere un'altra caratteristica dell'assistenza psichiatrica nella Provincia di Lecce; si è verificato anzi un arretramento rispetto agli anni pre-180 in cui, ogni 15 giorni e a turno, l'assistente sociale di ogni C.I.M. si recava all'O.P.I.S. ai fini della continuità terapeutica. Il dopo-riforma appare invece caratterizzato piuttosto dalla «discontinuità terapeutica», quando non si tratti di «disconferma terapeutica» reciproca fra S.D.C. e C.I.M.
I Centri di Igiene Mentale, presenti già prima della legge 180, potenziati dopo la legge, continuano a funzionare, salvo casi singoli, più come ambulatori specialistici che come strutture capaci di essere protagoniste nel campo della prevenzione delle malattie mentali. A quanto pare non sono nemmeno capaci di prevenire l'eccessiva ospedalizzazione. La costituzione poi delle cosiddette équipe psico-pedagogiche ha determinato una crisi di identità dei C.I.M. (non ancora affrontata univocamente) a causa della richiesta di un impegno maggiore nella scuola. Questo impegno è fonte di alcune insidie, fra cui il fatto di trascurare il lavoro «psichiatrico» da parte di alcuni operatori scarsamente motivati a lavorare con pazienti psichiatrici, e l'arrivo nella scuola di strutture e operatori psichiatrici che inevitabilmente portano con sé il carico di esclusione proprio delle strutture psichiatriche.
In conclusione la Provincia di Lecce appare caratterizzata da un discreto impegno nel territorio, forse superiore a quello di altre Province meridionali, ma la scelta del territorio non appare conseguenza «del concetto di comprensibilità della follia e della necessità, per comprendere, di condurre analisi ed interventi nel luogo sociale di realtà, dove con consuetudine si produce e si riproduce, nelle forme normali consentite, l'individualità umana normale o malata» (Benigni e coll., 1980). Il dopo-riforma non è riuscito ancora a «superare i limiti della forma medica di intervento» (Misiti e coll., 1981); i due tipi di intervento (sul territorio e all'interno della struttura ospedaliera) sono ancora visti come indipendenti e a volte contrapposti (cfr. Manacorda e Montella, 1977), né vi sono momenti di confronto e di verifica, e ove occorra anche di scontro, fra le diverse équipes, sia pure di tipo operativo, cioé sul singolo caso, al fine di avvicinarsi ad una «unitarietà di stile e di approccio» (Bondioli e coll., 1977).
In tale situazione, di fronte ad operatori ancora legati, per buona parte, all'ideologia del manicomio, intesa come concetto di «incomprensibilità della follia ... della sua pericolosità ... della necessità di un luogo diverso e speciale per il folle» (Benigni e coll., 1980) la realizzazione dei Dipartimenti di Psichiatria (gestiti evidentemente da un'unica équipe) rischia di riproporsi come «risposta semplificante e ripetitiva ... (rappresentante) il limite dell'organizzazione dei servizi, delle competenze e delle capacità professionali degli operatori e ... il limite del progetto politico» (Benigni e coll., 1980).
Pare di risentire l'eco della logica del «settore», inteso come razionalizzazione dell'assistenza e che diventa veicolo per la «diffusione dei metodi e della mentalità manicomiali nel territorio in assenza di una adeguata e rinnovata formazione di tutto il personale psichiatrico» (Mistura e coll., 1975).
Lo stesso «censimento dei bisogni» (ved. Appendice) e altre proposte sembrano configurarsi come una sostanziale «offerta di consulenza tecnica neo-manicomiale agli amministratori locali, alla quale ... gli stessi amministratori ... non sono in grado di contrapporre una reale alternativa assistenziale» (Mistura e coll., 1975).
Manca nella sostanza un dibattito serio fra le forze che sono interessate all'assistenza psichiatrica (ad un convegno organizzato circa un anno fa per fare il punto sulla esperienza delle tre Province erano significativamente assenti gli amministratori) sulle forme che deve assumere il rinnovamento dell'assistenza psichiatrica nella Provincia di Lecce.
APPENDICENel 1979 è stata realizzata in Provincia di Lecce una mappa dei bisogni, al fine di conoscere il numero degli assistiti da inserire in strutture alternative e quindi per consentire di programmare le strutture medesime. L'indagine si articolò in due momenti distinti, rispettivamente per gli assistiti del S.I.M. e per i pazienti ancora ricoverati all'O.P.I.S. Per il S.I.M. il lavoro fu affidato alle assistenti sociali e per l'O.P.I.S. al relativo servizio sociale. Come strutture alternative furono individuate le Case Famiglia, gli Istituti per Inabili Cronici e i Laboratori protetti.
I risultati di questo censimento sono i seguenti:
a) l'O.P.I.S. ha indicato come inseribili in Casa Famiglia 158 pazienti, in Istituti per Inabili Cronici 224, per un totale di 382 pazienti dimissibili;
b) il SIM ha indicato 193 pazienti inseribili in Casa Famiglia, 91 in Istituti per Inabili Cronici, 366 in Laboratori protetti, per un totale di 650 pazienti.
Quale commento a questi dati si può dire che pur essendo la mappa dei bisogni un ottimo strumento operativo in quanto consente una programmazione dell'assistenza, la modalità con cui essa è stata realizzata in Provincia di Lecce (attraverso le cartelle cliniche) ha di fatto significato l'adattamento dell'utenza a bisogni precostituiti. È mancato inoltre un minimo di standardizzazione, nel senso di stabilire quali caratteristiche devono avere i soggetti destinati alla Casa Famiglia o ad altre strutture alternative.
L'unico dato che pare interessante è che l'O.P.I.S. ha indicato come dimissibili ben 382 pazienti, i quali potrebbero lasciare l'Ospedale qualora venissero realizzate le strutture indicate.
Un'ultima perplessità concerne la realizzazione dei cosiddetti Istituti per Inabili Cronici. In pratica altro non sarebbero che dei piccoli manicomi (non più soggetti però al vincolo della 180 di non accettare nuovi pazienti), suscettibili di dar luogo agli stessi processi di emarginazione ed esclusione, sia pure in scala ridotta. Il decentramento inoltre se positivo in quanto porterebbe i pazienti ospiti più vicini al loro territorio di origine, appare pericoloso in quanto porterebbe alla moltiplicazone di strutture di tipo manicomiale, con induzione dell'aumento del bisogno.
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