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Centro Studi di Psicologia Applicata
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giornata di studio sul tema

"Problemi di Classificazione in Psicofarmacologia"

sabato 6 maggio 2000

Relazione

PROBLEMI DI CLASSIFICAZIONE
IN PSICOFARMACOLOGIA

Dr Andrea Mazzeo


INTRODUZIONE

L'ingresso in psichiatria degli psicofarmaci, circa cinquant'anni fa, ha modificato radicalmente il nostro approccio ai disturbi mentali. Bisogna però dire che, nelle realtà che avevano già avviato dei programmi di riabilitazione psichiatrica, l'impatto degli psicofarmaci sulla gestione delle malattie mentali è stato meno vistoso, meno eclatante, come documentato da lavori anglosassoni degli anni '60 (1).

È necessario, inoltre, sfrondare la visione dello psicofarmaco sia dall'alone di onnipotenza che molti gli attribuiscono, sia dalla demonizzazione e dalla concezione di «camicia di forza chimica».

Lo psicofarmaco non è la terapia ma è solo una delle possibilità di intervento nella patologia psichiatrica. L'intervento psicofarmacologico va, necessariamente, integrato con quello psicologico e con quello socio-ambientale per la costruzione di un autentico progetto terapeutico e riabilitativo in favore del paziente.

La prescrizione del farmaco va sempre inserita all'interno di un valido rapporto medico-paziente; in psichiatria è veramente terapeutico tutto quello che si fa con il paziente tra una somministrazione e l'altra della terapia farmacologica.

Il Prof. Andreoli nel 1981, presentando l'edizione italiana di un manuale di psicofarmacologia scriveva: Forse (lo psicofarmaco) è solo un imperfetto mezzo per intervenire sulla patologia psichiatrica (2). Questo concetto conserva ancora oggi, a mio parere la sua validità.

Gli psicofarmaci hanno avuto altri meriti in psichiatria, di carattere teorico ma con indubbi riflessi sulla pratica clinica.

Con le prime terapie psicofarmacologiche si è dato l'avvio anche ad una profonda revisione della nosografia psichiatrica, con la messa a punto di nuove classificazioni dei disturbi mentali; la individuazione, ad es., della categoria nosografica del Disturbo di Panico all'interno del gruppo della Nevrosi Ansiosa è stata possibile grazie all'efficacia dimostrata dall'imipramina (un antidepressivo) invece che dalle benzodiazepine, ed oggi alle persone con questo disturbo è riservato certo un destino migliore.

L'uso degli psicofarmaci ha stimolato gli studi per individuare il loro meccanismo d'azione e da questi studi sono nate le attuali conoscenze sulla biochimica del cervello e le ipotesi biologiche delle malattie mentali.

In questo campo occorre procedere con la necessaria cautela scientifica: sappiamo, per es., che i farmaci antidopaminergici producono un miglioramento della schizofrenia; questo ci ha portato ad ipotizzare che nella genesi della schizofrenia vi sia una disfunzione dei sistemi dopaminergici. Non è scientificamente corretto affermare, però, che la causa della schizofrenia stia solo nella disfunzione dopaminergica.

Possiamo affermare che le attuali conoscenze scientifiche sulla schizofrenia ci forniscono questo strumento interpretativo, che utilizziamo per un approccio farmacologico a questa patologia mentale. Il progresso scientifico ci porterà in futuro altre chiavi di lettura del disturbo schizofrenico che potrebbero anche modificare radicalmente il nostro modo di operare; dobbiamo essere pronti ad accogliere il nuovo, abbandonando ciò che oggi ci sembra certo.

Negli anni '70, ad es., si era convinti che l'efficacia dei neurolettici fosse legata alla loro capacità di "impregnare" il paziente, cioè di determinare uno stato di apatia e di rallentamento psicomotorio; si aumentavano le dosi sino ad ottenere l'impregnazione farmacologica. Studi successivi hanno ampiamente dimostrato che le dosi elevate non sono più efficaci delle dosi moderate perciò, oggi, si tende ad utilizzare dosi minime per evitare i gravi effetti collaterali che insorgono alle dosi elevate. Sono purtroppo ancora molti gli psichiatri affezionati alle alte dosi, convinti che per un’efficacia clinica sia necessario ottenere l’impregnazione farmacologica del paziente.

Questo in una prospettiva biologica; non va dimenticato che il paziente affetto da ciò che chiamiamo schizofrenia è una persona con bisogni e diritti uguali a quelli di tutti noi; l’approccio farmacologico non deve esaurire il nostro compito di operatori della salute mentale.


CENNI STORICI SULLA PSICOFARMACOLOGIA

La data d'inizio della psicofarmacologia viene fissata al 1952, quando gli psichiatri francesi Delay e Déniker utilizzarono la clorpromazina da sola nel trattamento di 40 casi di psicosi acuta, con risultati positivi.

La prima benzodiazepina, il clordiazepossido viene sintetizzata nel 1947 ma utilizzata solo nel 1958; al 1949 risale l'impiego del litio negli stati maniacali e nelle schizofrenie e nel 1950 si giunge alla sintesi della clorpromazina. Il farmaco fu chiamato Largactil e venne utilizzato dapprima in anestesia, dal chirurgo e farmacologo Henry Laborit (3). Laborit coniò il termine neurolettico per indicare l'azione di indifferenza e disinteresse verso l'ambiente indotta da questa sostanza, oltre che la capacità di deprimere il livello della tensione nervosa e il tono neurovegetativo (4); questa azione fu chiamata anche neuroplegica o ganglioplegica.

L'azione dei neurolettici è stata anche così descritta: uno stato di sonnolenza che per le dosi più alte può giungere al sonno, da cui il paziente può però venire richiamato con facilità. Quando la sonnolenza scompare il paziente appare normale ed è in grado di svolgere compiti applicativi, anche se non prende iniziative, non pone domande e non dimostra preoccupazioni o preferenze (5).

Negli anni successivi furono sintetizzate numerose molecole attive nelle malattie mentali (due antidepressivi, l'IMAO iproniazide nel 1952 e il triciclico imipramina nel 1957, e l'aloperidolo nel 1959) dando così l'avvio alla moderna psicofarmacologia.

Il farmacologo francese Delay propose nel 1957 la seguente definizione: i farmaci psicotropi, o psicofarmaci, sono sostanze, di origine naturale o di sintesi chimica, che hanno un tropismo psicologico, e cioè che sono in grado di modificare l'attività mentale (2).


CLASSIFICAZIONI DEGLI PSICOFARMACI

I farmaci attivi sulla psiche, o psicofarmaci (negli U.S.A. sono chiamati anche psychotherapeutic drugs) possono essere classificati in vari modi (Tab. 1)

a) classificazione chimica, in base alla loro struttura chimica. Questa classificazione ci dà solo delle grossolane informazioni sull'azione degli psicofarmaci nei disturbi mentali. Per es., nel gruppo delle sostanze con struttura fenotiazinica troviamo farmaci neurolettici ma anche farmaci antiparkinsoniani (dietazina e isotiazina non più in commercio), antistaminici (prometazina - Fargan), antivertiginosi e antinausea (tietilperazina - Torecan, proclorperazina - Stemetil; la proclorperazina è contenuta in un noto farmaco antiemicranico, il Difmetré), antiemicranici (dimetotiazina, non più in commercio), antispastici (aminopromazina, non più in commercio), ecc.

Sul piano clinico, quindi, questa classificazione è di scarsa utilità poiché nello stesso gruppo chimico sono comprese sostanze con azione terapeutica differente.

b) classificazione farmacologica, ottenuta correlando l'attività farmacodinamica (il meccanismo d’azione) di una sostanza con l'effetto clinico osservato.

Reda e Dotti nel loro Manuale di Psicofarmacologia del 1974 (6), osservano che una classificazione farmacologica non ci consente di poter predire con esattezza l'azione clinica; questi concetti sono ancora espressi dagli AA nel Trattato di Psichiatria del 1982 (7).

c) classificazione clinica: si basa sull'attività prevalente (terapeutica) che il farmaco dimostra di possedere nell'uomo; la classificazione clinica è quella correntemente utilizzata dai vari autori, con minime variazioni fra loro.

Dotti, nel Trattato Italiano di Psichiatria di Cassano e Pancheri (8) osserva che questo tipo di classificazione, basata sulla psicopatologia classica appare insufficiente; essa ripropone una tassonomia psicofarmacologica (ansiolitici, antidepressivi, antipsicotici) basata sui concetti clinici, portandoci, a volte, ad automatismi farmacoterapici: se il paziente è ansioso va trattato con ansiolitici, se è depresso con antidepressivi, se delirante con antipsicotici. Molti psichiatri utilizzano gli psicofarmaci secondo questi automatismi, in maniera del tutto ingiustificata.

Allo psichiatra francese Delay si deve la prima classificazione clinica degli psicofarmaci, proposta in occasione del II e del III Congresso Mondiale di Psichiatria (rispettivamente nel 1957 e nel 1961); è quella tuttora adottata, con le modifiche apportate da Déniker (2).

Secondo questa classificazione gli psicofarmaci vengono distinti in (Tab. 2):

- FARMACI PSICOLETTICI: tutte le sostanze sedative del SNC
- FARMACI PSICOANALETTICI: tutte le sostanze che elevano il tono psichico
- FARMACI PSICODISLETTICI: tutte le sostanze che alterano, perturbano il tono psichico

I FARMACI PSICOLETTICI sono distinti in (Tab. 3):

a) Ipnotici: di tipo barbiturico e di tipo non barbiturico, utilizzati per indurre il sonno. Oggi i barbiturici non vengono più usati con queste indicazioni.

b) Tranquillanti minori o Ansiolitici: comprendono essenzialmente le benzodiazepine, ad attività sedativa, anticonvulsivante e miorilassante; (il cosiddetto effetto ansiolitico è in realtà la risultante delle tre azioni principali delle benzodiazepine. Il rilassamento muscolare, come lo si ottiene ad es. con il training autogeno, o in altro modo, ha un effetto ansiolitico).

Gli altri tranquillanti minori (meprobamati, ecc. hanno ormai un interesse storico).

c) Tranquillanti maggiori o Neurolettici: hanno un'attività sedativa ed antipsicotica (antiallucinatoria ed antidelirante), non posseduta dai tranquillanti minori. Comprendono le fenotiazine, i butirrofenoni, i tioxanteni, le dibenzoazepine, le dibenzotiazepine, le fenilbutilpiperidine, le benzamidi, ecc.

d) Regolatori dell'umore: ad azione equilibratrice sulle oscillazioni affettive (carbonato di litio e dipropilacetamide).


I FARMACI PSICOANALETTICI sono distinti in (Tab. 4):
a) Stimolanti dell'umore o antidepressivi; sotto il nome di antidepressivi si comprendono:
- Inibitori delle Mono-Amino-Ossidasi (IMAO), chiamati anche timeretici;
- Triciclici ed eterociclici, chiamati anche timolettici o timoanalettici.

b) Stimolanti della vigilanza detti anche nootropi: amfetamine, caffeina.


I FARMACI PSICODISLETTICI sono distinti in (Tab. 5):

a) Allucinogeni: mescalina, psylocibina, LSD.

b) Stupefacenti: morfinici, cannabinoidi, cocaina, PCP, ecstasy.

c) Inebrianti: alcool, solventi.

Questa è la classificazione di riferimento per tutti gli psichiatri e psicofarmacologi, sia pure con qualche piccola variazione che non ne modifica i termini sostanziali.

Alcuni AA (9) hanno distinto i neurolettici in sedativi, antimaniacali, incisivi e disinibenti (Tab. 6).

In seguito si è compreso che queste differenti proprietà, empiricamente attribuite ai neurolettici, dipendono in realtà dalla loro potenza nel bloccare i recettori D2 post-sinaptici della dopamina.

Attualmente i neurolettici si distinguono in neurolettici a bassa potenza e neurolettici ad alta potenza (Tab.7).

I neurolettici a bassa potenza hanno una scarsa affinità per i recettori dopaminergici D2: clorpromazina, levomepromazina, tioxanteni, ecc.

I neurolettici ad elevata potenza hanno una elevata affinità per i recettori dopaminergici D2: aloperidolo, flufenazina, ecc.

Anche per gli antidepressivi è stata proposta una sottoclassificazione (9) in farmaci a prevalente azione antidepressiva (imipramina), a prevalente azione antiansia (amitriptilina), a prevalente azione disinibente (desipramina).

Si è compreso successivamente che queste differenze dipendono in effetti dalla metabolizzazione della sostanza nell'organismo, più che da proprietà intrinseche del farmaco.

Dotti, nel Trattato di Psichiatria di Reda (7), propone una distinzione principale in due gruppi (Tab. 8):

a) Farmaci psicotropi in senso lato: comprendono gli ipnotici (barbiturici e non barbiturici), gli anticonvulsivanti (idantoina, carbamazepina, ac. valproico), gli psicostimolanti (amfetamine) e gli psicotomimetici (mescalina, psilocibina, LSD, PCP);

b) Psicofarmaci propriamente detti: Neurolettici, tranquillanti, antidepressivi e litio.

Nisticò classifica gli psicofarmaci secondo la classificazione clinica classica (10).

Bellantuono e Tansella (Gli psicofarmaci nella pratica terapeutica) riprendono la classificazione psicofarmacologica classica (11, 12, 13).

Cazzullo (14) riporta la classificazione statunitense del NIMH (National Institute of Mental Health) che distingue gli psicofarmaci in Neurolettici, Ansiolitici e Sedativi, Antidepressivi, Psicostimolanti, Psicodislettici (Tab. 9).

Shader (15) segue una prospettiva eminentemente clinica pur senza riportare una classificazione specifica.

Hales e Youdofsky (16) classificano gli psicofarmaci in Antipsicotici, Antidepressivi, Ansiolitici-Sedativi-Ipnotici, Antimaniacali e Farmaci che riducono l'aggressività; per gli antipsicotici riportano la sottoclassificazione per gruppo chimico (fenotiazine, piperidine, piperazine, tioxanteni, butirrofenoni, ecc.).

Kaplan e Sadok non riportano una classificazione generale degli psicofarmaci (Tab. 10) ma li elencano in vari capitoli (agonisti e antagonisti dei recettori delle benzodiazepine, antagonisti dei recettori della dopamina - antipsicotici, inibitori delle monoaminoossidasi, inibitori specifici del reuptake della serotonina, farmaci triciclici e tetraciclici - antidepressivi, litio, carbamazepina, valproato, ecc (17).

Nel testo di Kaplan e Sadok è possibile intravedere una tendenza verso una classificazione farmacologica più che strettamente clinica.

Cassano e Pancheri, nella prima edizione del Trattato di Psichiatria (8), classificano gli psicofarmaci in Ansiolitici, Antipsicotici, Antidepressivi e Regolatori dell'umore.

Nella seconda edizione (18), Pancheri osserva che la classificazione clinica tradizionale, per area terapeutica, è in crisi per l'aumento delle molecole disponibili, la migliore conoscenza dei loro meccanismi d'azione e per la dimostrazione che alcuni farmaci efficaci in un'area mostrano altrettanta efficacia in disturbi appartenenti ad altre aree.

Questo ha generato una serie di tentativi di sottoclassificazione sulla base di principi organizzatori multipli (Tab. 11), per struttura chimica, per meccanismo d'azione, per attività farmacocinetica e di tipo temporale.

- La sottoclassificazione per struttura chimica, apparentemente precisa, è di scarsa utilità clinica perché molecole con struttura chimica affine hanno proprietà terapeutiche radicalmente differenti, molecole diverse sotto il profilo chimico hanno attività simili.

- L'ordinamento sulla base del meccanismo d'azione è utile dal punto di vista clinico ma impreciso per la molteplicità dei meccanismi d'azione che caratterizzano molti psicofarmaci.

- Il criterio delle differenze farmacocinetiche è applicabile solo ad alcuni psicofarmaci (es., le benzodiazepine, differenziate in base all'emivita più o meno lunga, o ai metaboliti attivi).

- Il principio organizzatore temporale distingue, ad es., gli antidepressivi in prima generazione, seconda generazione ecc., non ci aiuta più di tanto.

Queste difficoltà portano Pancheri a proporre un nuovo ordinamento sistematico dei farmaci, individuando dei descrittori dei farmaci psicoattivi (Tab. 12), quali:

1. L'area di efficacia clinica dimostrata: antidepressivi, antipsicotici, antiansia.

2. Il tropismo sistemico Neuro-Trasmettitore/Neuro-Recettore, cioè il principale sistema NT-NR che media l'azione terapeutica:

5-HT-tropi { - ad azione funzionale agonista
- ad azione funzionale antagonista
NA-tropi { - ad azione funzionale agonista
- ad azione funzionale antagonista
DA-tropi { - ad azione funzionale agonista
- ad azione funzionale antagonista
GABA-tropi { - ad azione funzionale agonista
- ad azione funzionale antagonista
A tropismo
non sistemico
{ - ad azione funzionale agonista
- ad azione funzionale antagonista

3. Il meccanismo primario d'azione.

Nei capitoli successivi del Trattato, la materia viene sviluppata secondo la classificazione clinica tradizionale (18).

La scoperta di nuove molecole con caratteristiche differenti da quelle degli psicofarmaci classici e il trattamento di disturbi differenti con molecole simili, rendono però problematica la loro classificazione secondo il criterio clinico.

Per i nuovi antidepressivi si è coniata la sigla S.S.R.I. (Inibitori Selettivi del Riassorbimento della Serotonina); sono stati poi sintetizzati altri antidepressivi non selettivi sul riassorbimento della serotonina, per cui si parla anche di S.N.R.I. (Inibitori del Riassorbimento della Serotonina e della Noradrenalina) e di Na.S.S.A. (Antidepressivi Selettivi Noradrenergici e Serotoninergici); altri antidepressivi sono chiamati NA.R.I. (Inibitori del Riassorbimento della Noradrenalina) perché selettivi sul riassorbimento della noradrenalina (Tab 13).

Per alcuni antidepressivi (trazodone, nefazodone) è stata proposta la denominazione di S.A.R.I. (Antagonisti e Inibitori del Reuptake della Serotonina).

Alcuni S.S.R.I. hanno proprietà antiossessive ed antipanico: continuiamo a classificarli come antidepressivi o dobbiamo introdurre delle sottoclassificazioni?

Per i nuovi antipsicotici (clozapina, risperidone, olanzapina) si è coniata l'espressione di "antipsicotici atipici": bloccano i recettori della dopamina e come tali dovrebbero essere classificati tra i neurolettici; se ne differenziano notevolmente perché sprovvisti proprio dell'effetto "neurolettico" (indifferenza e disinteresse verso l'ambiente, rallentamento psicomotorio), non inducono effetti collaterali extrapiramidali (tremore, ecc.) o li inducono in misura inferiore; a differenza dei neurolettici classici bloccano anche i recettori della serotonina, sono proposti per il trattamento dei sintomi negativi della schizofrenia, cosa impensabile per i vecchi neurolettici.

Le benzamidi (sulpiride, levosulpiride, amisulpride) sono farmaci che bloccano i recettori dopaminergici (come i neurolettici) ma che a basse dosi hanno un effetto antidepressivo; questo rende problematico classificarle fra i neurolettici, pur condividendo con i neurolettici il medesimo meccanismo d'azione: il blocco dei recettori D2 della dopamina.

È prevedibile che nuove molecole verranno introdotte in terapia e dovranno trovarsi uno spazio nella classificazione classica, per cui nasceranno altri problemi.

Queste riflessioni, allo stesso tempo di carattere clinico e farmacologico, ci hanno portato a pensare alla possibilità di una diversa modalità di classificazione degli psicofarmaci, valutando se non si possa oggi proporre quella classificazione farmacologica che dieci anni fa era di scarsa utilità.

Le maggiori conoscenze scientifiche ci consentono di poter prevedere, con sufficiente approssimazione, l'effetto clinico di una determinata azione farmacologica e farmacodinamica, anche se questo non esaurisce del tutto le proprietà del farmaco.

In linea generale, tutti i farmaci attivi sul SNC agiscono sulla neurotrasmissione chimica attraverso una di due vie principali (19):

a) in primo luogo come stimolanti (agonisti) o bloccanti (antagonisti) dei recettori dei neurotrasmettitori;

b) in secondo luogo come inibitori di enzimi regolatori.

Se, ad es., blocchiamo i recettori della dopamina D2 post-sinaptici produciamo invariabilmente una riduzione della trasmissione dopaminergica alla quale corrispondono effetti clinici che possiamo in linea di massima prevedere: effetto antipsicotico, parkinsonigeno, iperprolattinemizzante; se invece potenziamo la trasmissione dopaminergica (mediante sostanze agoniste recettoriali o bloccando selettivamente i recettori pre-sinaptici), gli effetti clinici sono opposti.

Se somministriamo sostanze agoniste per i recettori delle benzodiazepine, potenziamo la trasmissione GABA-ergica, con effetto ansiolitico, oltre che anticonvulsivante e miorilassante.

Se somministriamo sostanze che bloccano il riassorbimento delle monoamine (dopamina, noradrenalina, serotonina) produciamo un effetto antidepressivo, oltre che antipanico ed antiossessivo, per il blocco del riassorbimento della serotonina.

Pertanto, pur con tutti i limiti, e con la consapevolezza di questi limiti, possiamo provare ad abbozzare una classificazione farmacologica.

Nell'esposizione che segue si distinguono gli psicofarmaci in (Tab. 14):

  1. FARMACI CON ATTIVITÀ RECETTORIALE DIRETTA

  2. FARMACI INIBITORI DEL REUPTAKE PRESINAPTICO DEI NEUROTRASMETTITORI

  3. FARMACI INIBITORI DEL CATABOLISMO DEI NEUROTRASMETTITORI

  4. FARMACI CHE INTERVENGONO SUL METABOLISMO E SUL RILASCIO DEI NEUROTRASMETTITORI

  5. FARMACI DEI CANALI IONICI


I - FARMACI CON ATTIVITÀ RECETTORIALE DIRETTA

Questa categoria di farmaci svolge la propria attività farmacologica interagendo direttamente con il recettore del neurotrasmettitore, con azione agonista e quindi di potenziamento della neurotrasmissione, o con azione antagonista, di blocco recettoriale e pertanto di rallentamento della trasmissione neuronale.

Gli effetti, nella somministrazione cronica, di questi farmaci comportano modificazioni della sensibilità e del numero dei recettori stessi: gli agonisti determinano, nell'uso cronico, desensibilizzazione recettoriale ed impoverimento numerico dei recettori (down-regulation); gli antagonisti provocano invece ipersensibilità e proliferazione recettoriale (up-regulation).

I farmaci con attività recettoriale diretta possono essere classificati in base al recettore su cui agiscono.


1.- Farmaci del recettore dopaminico

Allo stato attuale si conoscono cinque tipi di recettori dopaminici denominati D1, D2, D3, D4 e D5 (9, 11, 20). Sono situati in prevalenza sulla membrana della cellula postsinaptica, a livello del corpo cellulare, (recettori postsinaptici) ma anche sulla membrana della cellula presinaptica, a livello della terminazione sinaptica, (recettori presinaptici - D2 e D3); i recettori presinaptici hanno un'azione inibitoria sulla liberazione di dopamina (autorecettori inibitori).

In linea generale, la stimolazione del recettore dopaminico postsinaptico (farmaci agonisti) produce effetti psicostimolanti, antiparkinsoniani e ipoprolattinemizzanti; il blocco di questi recettori (farmaci antagonisti) ha effetti antipsicotici, antideliranti, antiallucinatori, parkinsonigeni ed iperprolattinemizzanti. Nella somministrazione cronica gli antagonisti determinano supersensitività e proliferazione recettoriale.

Di interesse psichiatrico sono gli antagonisti recettoriali, utilizzati come antipsicotici; i farmaci agonisti vengono utilizzati soprattutto come antiparkinsoniani e nelle iperprolattinemie.

Alcuni antagonisti del recettore D2 si caratterizzano per il blocco dei recettori presinaptici inibitori a concentrazioni inferiori a quelle necessarie per il blocco postsinaptico (alcune benzamidi quali sulpiride, levosulpiride, amisulpride, ecc.); l'attività farmacodinamica è di potenziamento della trasmissione dopaminergica con effetti clinici psicostimolanti ed antidepressivi a basse dosi; ad alte dosi diventano neurolettici.


2.- Farmaci del recettore serotoninico

Il numero dei recettori per la serotonina e la loro localizzazione ubiquitaria, danno ragione delle diverse attività cliniche indotte dai farmaci che intervengono su questo sistema. Per quanto a me noto, sono state descritte sinora 4 classi di recettori 5-HT, numerate da 1 a 4, e per alcune sono descritte delle sottoclassi, identificate da una lettera (a, b, c, ecc.) posta dopo il numero della classe recettoriale.

In linea generale, i recettori 5-HT1 rappresentano la popolazione recettoriale presinaptica mentre i recettori 5-HT2 quella postsinaptica (10).

2.1) RECETTORI 5HT1.- Si conoscono sinora cinque sottotipi di questo recettore: 5-HT1-a, 5-HT1-b, 5-HT1-c, 5-HT1-d, 5HT1-e (8).

2.1a) Recettore 5-HT1-a.- È un autorecettore presinaptico inibitore, localizzato nell'ippocampo e nei nuclei del rafe (12) a livello del corpo cellulare (10); è descritta una popolazione recettoriale post-sinaptica (8).
La stimolazione dei 5-HT1-presinaptici riduce e rallenta la trasmissione serotoninergica e sembra avere un'azione ansiolitica (buspirone); la sua stimolazione postsinaptica induce iperfagia ed aggressività (8).
Il blocco presinaptico di questo recettore (pindololo) sembra potenziare l'azione degli antidepressivi (ridotta latenza d'azione); gli antagonisti post-sinaptici potenziano gli effetti antiaggressivi delle arilpiperazine nel ratto (8).

2.1b) Recettore 5-HT1-b.- È ancora poco caratterizzato nell'uomo, ben caratterizzato nel ratto; è localizzato nella sostanza nera, nel caudato, nel collicolo superiore e nel corpo genicolato laterale. La sua stimolazione ha effetti ansiogeni e anoressizzanti (12).
Funziona come autorecettore inibitore presinaptico, situato a livello delle terminazioni neuronali (10, 21).
Come agonisti sono riportati il sumatriptan e il trazodone, come antagonisti il pindololo e il propranololo (8).

2.1c) Recettore 5-HT1-c.- È analogo strutturalmente al recettore 5-HT2, localizzato a livello dei plessi corioidei. Gli agonisti (trazodone) ed antagonisti (mianserina, metisergide) di questo recettore sono poco selettivi (8, 12).
La sua stimolazione sembra provocare effetti ansiogeni, anoressizzanti e forse allucinatori (12).

2.1d) Recettore 5-HT1-d.- È presente nei gangli della base, nel subicolo dorsale e nel grigio periacqueduttale. Se ne conoscono due sottotipi, 5-HT1-da e 5-HT1-db; probabilmente è l'analogo umano del recettore 5-HT1-b del ratto (12).
Un agonista di questo recettore è il sumatriptan, ad attività antiemicranica (12).

2.1e) Recettore 5-HT1-e.- Poco caratterizzato.

2.2) RECETTORI 5-HT2.- Anche del recettore 5-HT2 si conoscono diversi sottotipi: 5-HT2-a , 5-HT2-b e 5-HT2-c.

2.2a) Recettore 5-HT2-a.- È presente nella corteccia, nel claustro e nel sistema olfattorio.
Sono antagonisti 5-HT2-a la clozapina, l'olanzapina e il risperidone (antipsicotici atipici); viene bloccato anche dalla mirtazapina, trazodone, amitriptilina. Il blocco di questo recettore unitamente a quello dei recettori D2 della dopamina sembra ridurre l’incidenza di effetti collaterali extrapiramidali.
La sua stimolazione provoca disturbi della percezione e dell’affettività (12).

2.2b) Recettore 5-HT2-b.- Ha una localizzazione simile a quella del 5-HT2-a e lega preferenzialmente gli antagonisti (8).

2.2c) Recettore 5-HT2-c.- Poco caretterizzato.

2.3) RECETTORE 5-HT3.- Presente nella corteccia (entorinale, piriforme e temporale), nel sistema limbico e nell'area postrema.
Gli antagonisiti (ondasentron) hanno effetti antiemetici e ansiolitici; probabilmente è coinvolto nei sintomi psicotici e nei disturbi della memoria (12). La somministrazione cronica di un antagonista 5-HT3 riduce l'attività dei neuroni dopaminergici del tegmento ventrale (8); l'ondasentron è stato utilizzato nelle discinesie tardive e nel disturbo di Tourette (22).
Viene bloccato anche dalla mirtazapina.

2.4) RECETTORE 5-HT4.- È poco caratterizzato. Agonisti di questo recettore sono alcune benzamidi (12).


3.- Farmaci del recettore noradrenalinico

Si conoscono recettori alfa- e recettori beta-. Gli alfa- sono distinti in alfa-1 e alfa-2; per ciascuno di essi si conoscono dei sottotipi a, b e c. I recettori beta- sono distinti in beta-1, beta-2 e beta-3.

La manipolazione di questi recettori produce effetti clinici cardio-vascolari e respiratori, (sono ben rappresentati in questi sistemi), e meno frequenti effetti psichici.

Gli effetti collaterali di molti psicofarmaci sono causati dal blocco di questi recettori (ipotensione arteriosa).

I recettori alfa-2 sono autorecettori inibitori; il loro blocco produce l’incremento della liberazione di nor-adrenalina e questo è alla base dell'azione antidepressiva della mianserina e della recente mirtazapina (6-azo-mianserina); anche il trazodone blocca i recettori alfa-2 presinaptici (10).

Diversi antipsicotici atipici (clozapina, olanzapina, risperidone, amisulpride) sono antagonisti più o meno potenti dei recettori alfa-2-adrenergici (23); in questo modo gli antipsicotici atipici influenzerebbero il rilascio di noradrenalina e dopamina da parte dei neuroni noradrenergici della corteccia prefrontale.

Di interesse psichiatrico è anche il blocco beta-adrenergico (pindololo, propranololo, tenololo) sfruttato per un'azione ansiolitica (es. fobia sociale); il pindololo e il propranololo sono stati utilizzati nel trattamento dei disturbi comportamentali di pazienti con danno cerebrale, con discreti risultati (24, 25, 26, 27, 28, 29, 30); questo effetto potrebbe essere dovuto anche all'intervento di questi farmaci su alcuni recettori della serotonina.

I farmaci antidepressivi provocano la down-regulation dei recettori beta-adrenergici.


4.- Farmaci del recettore acetilcolinico

I recettori dell'acetilcolina si distinguono in recettori muscarinici (M1, M2, M3, M4, M5) e recettori nicotinici; il recettore M2 è un autorecettore.

Il blocco di alcuni recettori dell'acetilcolina provoca gli effetti collaterali anticolinergici (secchezza della bocca, stitichezza, tachicardia, ritenzione urinaria) degli antidepressivi triciclici.

Da alcuni AA è stata avanzata l'ipotesi che il blocco colinergico possa avere un'azione antidepressiva.


5.- Farmaci del recettore istaminico

Si conoscono tre tipi di recettori dell'istamina, denominati H1, H2 ed H3, presenti sia a livello periferico che centrale. Sono stati identificati nel cervelletto, ipotalamo, ippocampo, talamo e nuclei della base.

Di interesse psichiatrico è il blocco dei recettori H1 che provoca sedazione, sonnolenza, aumento dell'appetito, aumento di peso, noti effetti collaterali di molti psicofarmaci (neurolettici, clozapina, olanzapina).


6.- Farmaci del recettore del GABA

I recettori che hanno come neurotrasmettitore il GABA gamma-amino-butirrico) sono molto diffusi nel cervello ed hanno una funzione inibitoria sulla trasmissione nervosa. Se ne conoscono due sottotipi, il GABA-A e il GABA-B.

Il recettore GABA-A è accoppiato ai canali del cloro ed è composto da diverse subunità proteiche (alfa-, beta-, gamma, delta). Il sito di legame del GABA si trova sulla subunità beta-, mentre la subunità alfa- contiene il sito di legame delle benzodiazepine.

Il recettore per le benzodiazepine è localizzato nelle aree cerebrali filogeneticamente più recenti (9), situato sulle membrane neuronali; siti recettoriali sono stati localizzati anche nella glia ed in tessuti periferici. La stimolazione del recettore benzodiazepinico da parte di agonisti recettoriali (benzodiazepine) aumenta l'affinità del GABA per i recettori GABA-A; la loro azione nei confronti dei recettori del GABA è definita come modulazione allosterica positiva, aumentano cioè la probabilità che il GABA determini l'apertura dei canali del cloro.

In alcune classificazioni il recettore delle benzodiazepine è chiamato anche recettore omega-, distinto in 3 sottotipi chiamati omega-1, omega-2 e omega-3; le benzodiazepine sono comunque classificate tra i farmaci dei canali ionici.

Un agonista GABA-A è la buxamina, utilizzata come antiepilettico.

Il recettore GABA-B è presente come eterocettore inibitorio sulle sinapsi di molti neuroni aminergici (12).

Il gabapentin è un agonista GABA-B utilizzato come antiepilettico e proposto come regolatore dell'umore; il baclofen, altro agonista GABA-B è utilizzato come miorilassante.


7.- Farmaci dei recettori degli aminoacidi eccitatori ed inibitori

Si tratta di recettori che hanno come neurotrasmettitori alcuni aminoacidi (ac. glutammico, ac. aspartico, glicina, taurina, serina, ecc.); la loro stimolazione provoca un aumento dell'eccitabilità cellulare (eccitatori), oppure riduce l'eccitabilità cellulare (inibitori).

Sono stati chiamati in causa nel metabolismo cellulare, nei processi di memorizzazione della cellula nervosa, nei processi di morte cellulare e come siti di alcuni allucinogeni (PCP).


8.- Farmaci dei recettori degli oppioidi

Si conoscono diversi tipi di recettori per gli oppioidi denominati con lettere greche (delta, kappa, mu, sigma); i recettori sigma sarebbero in realtà di natura non oppioide e sono stati descritti dei recettori epsilon (10).

Sono ubiquitari nel SNC, rappresentano i siti di legame dei peptidi oppioidi endogeni; la loro stimolazione provoca effetti inibitori sulla trasmissione nervosa (aumento della conduttanza al K+ che fuoriesce dalla cellula secondo il suo gradiente di concentrazione, portando ad iperpolarizzazione della membrana).

Sono coinvolti nella sensibilità dolorifica; sono chiamati in causa in alcuni disturbi mentali, poiché modulano a livello sinaptico il tono serotoninergico e catecolaminergico (10).


II - FARMACI INIBITORI DEL REUPTAKE PRESINAPTICO DEI NEUROTRASMETTITORI

I maggiori rappresentanti di questa classe di farmaci sono gli inibitori del reuptake delle monoamine neurotrasmettitoriali; di recente è stato commercializzato un farmaco che inibisce il riassorbimento del GABA (tiagabina) ed è prevedibile che altri farmaci ad attività simile verranno introdotti in futuro.

Sembra opportuna una prima distinzione (Tab. 15) in inibitori del reuptake delle monoamine ed in inibitori del reuptake di altri neurotrasmettitori; gli inibitori del reuptake delle monoamine possono essere ulteriormente distinti in inibitori non selettivi ed inibitori selettivi; per questi ultimi si può proporre una ulteriore classificazione in inibitori del reuptake delle catecolamine ed inibitori del reuptake delle indolamine.

A) Inibitori del reuptake delle monoamine

L'inibizione del riassorbimento delle monoamine dalla cellula presinaptica ne fa aumentare la concentrazione nella sinapsi e questo potenzia la trasmissione neuronale, con effetto clinico antidepressivo. Nel trattamento cronico si hanno fenomeni di down-regulation del recettore post-sinaptico.

L'inibizione può essere non selettiva oppure selettiva, per cui distinguiamo:


9) Inibitori non selettivi del reuptake delle monoamine

Sono detti tali perché inibiscono in maniera non selettiva il reuptake delle catecolamine e delle indolamine. Rappresentanti di questa classe di farmaci sono in prevalenza gli antidepressivi triciclici (es. amitriptilina, imipramina, clomipramina, ecc); tra i nuovi antidepressivi la venlafaxina.

Teoricamente si hanno le seguenti possibilità:

9.1) Inibitori del reuptake della serotonina e noradrenalina: amitriptilina, clomipramina, venlafaxina.

9.2) Inibitori del reuptake della serotonina e dopamina: sertralina (?).

9.3) Inibitori del reuptake della noradrenalina e dopamina: bupropione? (13).

9.4) Inibitori del reuptake della noradrenalina, serotonina e dopamina: imipramina.


10) Inibitori selettivi del reuptake delle monoamine

Possiamo distinguere, a secondo della monoamina di cui inibiscono il reuptake, in:

10.1) INIBITORI DEL REUPTAKE DELLE CATECOLAMINE.- Il reuptake delle catecolamine neurotrasmettitrici (noradrenalina e dopamina) può venire inibito selettivamente da alcuni farmaci, per cui è opportuno distinguere ancora:

10.2) Inibitori del reuptake della noradrenalina.- Alcuni triciclici demetilati (desipramina, nortriptilina) hanno una maggiore selettività noradrenergica rispetto alla molecola originaria. Si conoscono la viloxazina, ad attività antidepressiva disinibente e la recente reboxetina.

10.3) Inibitori del reuptake della dopamina.- Il blocco selettivo del reuptake della dopamina ha un effetto psicostimolante.

Tutti i farmaci selettivamente dopaminergici (nomifensina, amineptina) sono stati ritirati dal commercio per motivi vari.

Bloccano il reuptake della dopamina anche la D-amfetamina, l'amantadina (antiparkinsoniano), l'orfenadrina (anticolinergico) e la cocaina.

Per il bupropione, non ancora in commercio in Italia, è stata ipotizzata una selettività dopaminergica (12), ma studi successivi non avrebbero confermato questa ipotesi (17).


11) INIBITORI DEL REUPTAKE DELLE INDOLAMINE

Inibitori del reuptake della serotonina.- Il triciclico clomipramina quando viene somministrato per via parenterale (IM o EV) ha una elevata selettività serotoninergica; somministrato per OS viene parzialmente demetilato a livello epatico ed il suo metabolica (demetilclomipramina) blocca il reuptake della noradrenalina (12).

Sono considerati serotoninergici selettivi gli S.S.R.I., che comprendono la fluoxetina, la fluvoxamina, la paroxetina, la sertralina, il citalopram, ecc. La loro attività clinica è di tipo antidepressivo, ma si sono rivelati utili anche nel trattamento del DAP, del DOC, ed in varie condizioni cliniche in cui si ritiene esservi un deficit di serotonina, quali stati di aggressività, alcolismo, bulimia, ecc.


12) INIBITORI DEL REUPTAKE DEL GABA

É recente la commercializzazione di un farmaco, la tiagabina, che inibisce selettivamente il riassorbimento del GABA a livello della cellula presinaptica e la captazione da parte delle cellule gliali; ne risulta potenziata l'attività postsinaptica del recettore GABA-ergico di tipo A.

Viene utilizzato in clinica come antiepilettico; non è escluso che venga testato nei disturbi dell'umore, come regolatore, analogamente ad altri farmaci GABA-ergici.


III - FARMACI INIBITORI DEL CATABOLISMO DEI NEUROTRASMETTITORI

Sono rappresentati, essenzialmente, dai farmaci che bloccano le monoaminoossidasi, chiamati anti-M.A.O. o I.M.A.O.; si conoscono anche farmaci inibitori delle COMT (catecol-ossi-metil-transferasi).

In questa categoria andrebbe considerato anche l'ac. valproico che inibisce gli enzimi deputati alla degradazione del GABA (GABA-transaminasi e succinico-semial-deide-deidrogenasi).

Distinguiamo quindi (Tab. 16):

a) farmaci inibitori del catabolismo delle monoamine


13) INIBITORI DELLE MONOAMINO-OSSIDASI

Comprendono:

13.1) IMAO non selettivi

Gli IMAO non selettivi sono i più antichi rappresentanti di questa classe di farmaci (iproniazide, isocarbossazide, fenelzina, tranilcipromina) ed hanno una attività clinica antidepressiva disinibente.

13.2) IMAO selettivi di tipo A.- Bloccano selettivamente le MAO-A, per cui aumentano la concentrazione sinaptica di noradrenalina e di serotonina; sono chiamati anche R.I.M.A.

Trovano indicazione terapeutica come antidepressivi (toloxatone, non più in commercio, e moclobemide); hanno attività anti-MAO-A anche la clorgillina e l'amfetamina.

13.3) IMAO selettivi di tipo B.- Bloccando selettivamente le MAO-B portano all'aumento intrasinaptico di dopamina (selegilina); trovano indicazione come antiparkinsoniani.


14) FARMACI INIBITORI DELLE COMT

Un inibitore delle COMT è l'entacapone, utilizzato in neurologia come antiparkinsoniano.

b) farmaci inibitori del catabolismo di altri neurotrasmettitori


15) FARMACI INIBITORI DEL CATABOLISMO DEL GABA

L'ac. valproico inibisce gli enzimi che catabolizzano il GABA, la GABA-transaminasi e la succinico-semialdeide-deidrogenasi.

Il vigabatrin inibisce la GABA-transaminasi.


IV - FARMACI CHE INTERVENGONO SUL METABOLISMO E SUL RILASCIO DEI NEUROTRASMETTITORI

L'interesse di questi farmaci è prevalentemente sperimentale; possono essere distinti in (Tab. 17):

a) farmaci che inibiscono la neurotrasmissione


16) Farmaci inibitori del metabolismo e rilascio delle catecolamine

La trasmissione noradrenergica può essere ridotta dagli inibitori della biosintesi, che bloccano le diverse tappe metaboliche enzimatiche che portano alla sintesi di noradrenalina.

Inibitori enzimatici sono l'alfa-metil-para-tirosina blocca la tirosina-idrossilasi; la benserazide e la carbidopa bloccano la decarbossilasi degli aminoacidi aromatici (vengono associate alla L-Dopa in farmaci antiparkinsoniani); il disulfiram blocca la dopamino-beta-idrossilasi.

L'alfa-metildopa (utilizzata come anti-ipertensivo) è un falso neurotrasmettitore che deprime la neurotrasmissione catecolaminergica.

La reserpina (utilizzata in passato come sedativo ed anti-ipertensivo) provoca deplezione delle catecolamine dalle vescicole sinaptiche; le catecolamine vengono poi inattivate dalle MAO mitocondriali.


17) Farmaci inibitori del metabolismo e rilascio della serotonina

Inibitori della biosintesi di serotonina è la p-cloro-fenilalanina che blocca la triptofano-idrossilasi; come falsi neurotrasmettitori si comportano il 6-fluoro-triptofano e l'alfa--metiltriptofano.

b) farmaci che potenziano la neurotrasmissione


18) Farmaci stimolanti del metabolismo e rilascio delle catecolamine

Intervengono sul metabolismo della dopamina, potenziando la trasmissione dopaminergica, i precursori, come la L-DOPA, i farmaci che liberano la dopamina dai depositi presinaptici (D-amfetamina, amantadina).


19) Farmaci stimolanti del metabolismo e rilascio della serotonina

Il triptofano determina un incremento delle concentrazioni di serotonina cerebrale.


V - FARMACI DEI CANALI IONICI

I farmaci che modulano i canali ionici agiscono determinando una maggiore apertura dei canali e quindi facendo aumentare l'ingresso degli ioni all'interno della cellula nervosa, oppure restringendoli e quindi riducendo l'afflusso degli ioni all'interno della cellula. L'effetto clinico dipende dal tipo di ione interessato.

Se si tratta di ioni con carica elettrica positiva (Na+, K+, Ca++, Mg++) un aumento dell'ingresso nella cellula produce depolarizzazione della membrana con aumentata eccitabilità cellulare e facilitazione della neurotrasmissione; se l'ingresso degli ioni positivi nella cellula viene bloccato la cellula diviene meno eccitabile.

Se si tratta di ioni con carica negativa (Cl) l'ingresso nella cellula produce iperpolarizzazione della membrana e la cellula è meno eccitabile, con rallentamento della neurotrasmissione; il contrario avviene se gli ioni negativi vengono bloccati.


20) Farmaci dei canali del cloro

I canali del cloro (Cl) sono accoppiati al recettore GABA-A; questo recettore è modulato dal recettore delle benzodiazepine; la stimolazione del recettore da parte delle benzodiazepine (agonisti) determina una maggiore apertura dei canali del cloro ad opera del GABA, un maggiore afflusso di cloro-ioni nella cellula nervosa e quindi una iperpolarizzazione della membrana cellulare, con minore eccitabilità neuronale e potenziamento della trasmissione inibitoria GABA-ergica inibitoria.

La stimolazione del recettore delle benzodiazepine ha un effetto anticonvulsivante, miorilassante e sedativo.


21) Farmaci dei canali del calcio

I farmaci bloccanti i canali del calcio (Ca++) sono stati introdotti in terapia per le patologie cardio-vascolari (ipertensione, ischemia del miocardio); per alcuni di essi sono state descritte anche delle attività cliniche di tipo neuropsichiatrico e parallelamente sono state anche identificate azioni di tipo calcio-antagonista per alcuni psicofarmaci (es. pimozide).

I farmaci calcioantagonisti si distinguono in inibitori selettivi ed inibitori non selettivi; a livello del sistema nervoso centrale il blocco dei canali del calcio rallenta la trasmissione nervosa.

A) Un interesse psicofarmacologico riguarda allo stato attuale il verapamil (inibitore selettivo dei canali del calcio), utilizzato come alternativa al litio nella mania (17, 31, 32), e proposto nel trattamento della discinesia tardiva.

B) La flunarizina e la cinnarizina sono inibitori non selettivi; sono utilizzate nelle turbe vascolari cerebrali, come antiepilettici e come antiemicranici.


22) Farmaci dei canali del potassio

Il litio (Li+) interferisce con i canali del potassio e del sodio alterando gli equilibri di membrana e svolgendo in questo modo il suo effetto equilibrante sull'umore.


23) Farmaci dei canali del sodio

Oltre al litio, di cui si è detto, il blocco dei canali del sodio, con effetto di regolazione dell'umore, è svolto anche dalla carbamazepina.


CONCLUSIONE

Questa proposta non ha la pretesa di sostituire le classificazioni psicofarmacologiche attuali; l'intento è quello di dare un contributo al dibattito, che attraversa attualmente la psicofarmacologia, sulla migliore sistematizzazione della materia, più aderente alle necessità cliniche.


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