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NEUROLOGIA

PSICHIATRIA

SCIENZE UMANE

rivista della Fondazione "Centro Praxis"

AMMESSA AL PREMIO PER I PERIODICI DI ELEVATO VALORE CULTURALE
Diretta da: Raffaello Vizioli e Severo Puoti
E-MAIL Fonprax@Caserta.peoples.it


Volume XVII - N. 4 - Luglio-Agosto 1977 - 631-636


UN CASO CLINICO SINGOLARE, OVVERO
IL “CASO DELL’UOMO DELL’ACQUA”

Andrea Mazzeo*, Antonia Occhilupo*

*Dipartimento di Salute Mentale, ASL Lecce/1.


Introduzione

Riportiamo nel presente lavoro il caso di un paziente, con grave ritardo mentale, che presenta un comportamento alquanto singolare.


IL CASO

Il paziente, A.V., ha 34 anni; è nato a termine, da parto eutocico, presentava alla nascita segni di asfissia per attorcigliamento del cordone ombelicale. Lo sviluppo psicomotorio è stato notevolmente ritardato, con mancata acquisizione del linguaggio, ritardo nella deambulazione, apprendimento praticamente nullo per cui non è stato scolarizzato.

Sin dalla prima infanzia venne istituzionalizzato in varie strutture; è ricoverato in O.P. dal 1984 ininterrottamente con diagnosi di "Turbe comportamentali in oligofrenico".
Il paziente trascorreva l'intera giornata in uno stanzone (ex-dormitorio) poiché, a causa della sua notevole aggressività, rappresentava un autentico pericolo per l'incolumità degli altri ricoverati.

Del suo comportamento ci ha colpito una singolare peculiarità: il paziente era attratto, in maniera quasi morbosa, da tutto ciò che contenesse acqua, o liquidi in genere; oggetto delle sue pulsioni distruttive erano soprattutto i rubinetti ed i servizi igienici (lavabi, vaschette di scarico dei WC, tubature, ecc.) che venivano dal paziente sistematicamente scardinati e distrutti; il paziente presentava questo comportamento da circa dieci anni.

Ovviamente, di fronte alle sue manifestazioni comportamentali, il reparto reagiva con la contenzione fisica e con la somministrazione di neurolettici ad alte dosi, che producevano una incostante e transitoria sedazione ma non risolvevano il problema. Né vi era possibilità alcuna di comunicare con il paziente per comprendere le motivazioni del suo comportamento poiché non parlava, si esprimeva a monosillabi e con evidente ecolalia. Alle domande rispondeva ripetendo l'ultima parola della domanda stessa (es. D. "vuoi il caffè?"; R. "caffè, caffè"); l'ecolalia e la ripetizione della domanda per fornire la risposta affermativa, ci indussero a sospettare un concomitante disturbo autistico (Mahler, 1972) ed a ricercare la presenza di altri sintomi autistici.

Nella storia erano descritti atteggiamenti autolesionistici e stereotipie motorie; rilevammo un comportamento del tipo "Io ausiliario", o "estensione del Sé" (quando desiderava qualcosa il paziente prendeva per il braccio l'interlocutore - il medico o l'infermiere - portandolo verso l'oggetto da lui desiderato). Ci è sembrato interessante, anche, utilizzare il concetto degli "atteggiamenti sensoriali" di Delacato (1975). Secondo questo A. nell'autismo vi sarebbero delle disfunzioni percettive che provocano una iperstimolazione, o una ipostimolazione, del cervello, oppure coprono del tutto il messaggio sensoriale (rumore bianco). Il comportamento del paziente viene quindi visto come il tentativo di "normalizzare la via sensoriale lesa". La ricerca ossessiva del contatto fisico con l'acqua, nel nostro caso, può essere vista come manifestazione di "ipo-tatto"; anche i comportamenti autolesionistici rappresentano una manifestazione di "ipo-tatto"; in una fase successiva il paziente iniziò a presentare un altro strano comportamento che farebbe pensare ad una manifestazione di "ipo-udito": sbatteva con forza le porte del reparto provocando notevole rumore.

Nel 1990 ha effettuato una T.A.C. cranio s.m.c. che ha evidenziato la presenza di modesta atrofia corticale e di notevole dilatazione dei ventricoli cerebrali. Alla revisione nosografica del caso secondo i criteri del DSM-III (A.P.A., 1991), effettuata nel 1993, formulammo la seguente diagnosi:

ASSE I Sospetto Disturbo Organico di Personalità
ASSE II Ritardo Mentale Grave; Disturbo Autistico
ASSE III Idrocefalia
ASSE IV Nessun evento stressante nell'ultimo anno
ASSE V Punteggio alla Scala VGF = 15

I TENTATIVI DI SOLUZIONE

Discutendo con il personale infermieristico cominciammo ad interessarci del comportamento che il paziente aveva durante il bagno o la doccia, ed apprendemmo che, contrariamente ad altri degenti che rifiutavano di fare il bagno, egli era ben felice di immergersi nella vasca da bagno dove, battendo con le mani la superficie dell'acqua provocava degli spruzzi, oppure di stare sotto la doccia, rifiutando energicamente di smettere.

Si decise quindi di fargli fare il bagno o la doccia ogni giorno, o comunque ogni volta che, con i gesti, lasciasse intendere di desiderarlo; imparò anche a ripetere, ecolalicamente, la parola "acqua" e la parola "bagno" con le quali esprimeva il desiderio di avere il contatto fisico con l'acqua. Dopo il bagno il paziente trascorreva la giornata abbastanza tranquillamente, tanto da consentirgli di stare con gli altri e di essere accompagnato all'esterno del reparto.

Dagli infermieri fu riferito che, durante il bagno o la doccia, il paziente presentava una erezione con espressione di evidente piacere, e osservandolo durante queste attività si notò che, soprattutto durante la doccia, il paziente presentava un orgasmo completo, con la fenomenologia tipica (erezione, respiro affannoso, atteggiamento estatico, ecc.).

Il fatto che il contatto con l'acqua corrente gli producesse un orgasmo spiegava benissimo i tentativi oltremodo tenaci del paziente di avere questo contatto; era chiara la motivazione del suo comportamento, motivazione ben più potente di tutte le "punizioni" che subiva (sedazione farmacologica, contenzione fisica, a volte anche maltrattamenti da parte del personale).

Le chiavi di lettura potevano essere molteplici, ma certamente destinate a rimanere allo stadio di pure ipotesi speculative impossibili da verificare. Sicuramente questo tentativo di comprendere un comportamento alquanto singolare ci ha portati ad avvicinarci maggiormente al mondo del paziente, oseremmo dire al suo esser-ci nel mondo, costituitosi nell'unica (o almeno nella più accessibile in quel momento ed in quel contesto) possibilità a lui concessa di poter avere un rapporto con il mondo; rapporto esprimentesi nella modalità più intima e personale dell'uomo, la ricerca del piacere dell'orgasmo.

Il paziente ha cercato di "normalizzare" una via (quella del piacere sessuale) attraverso un suo "codice comportamentale" a noi fino ad allora sconosciuto; normalizzata quella via il suo strano comportamento migliorava.

La comprensione di questa sua singolare modalità esistenziale ha consentito di tentare qualche esperienza di tipo ludico-ricreativo che ha compreso anche l'accompagnamento al mare dove il paziente non ha creato problemi di alcun genere (come invece si temeva dati i suoi impulsi aggressivi) poiché il contatto con l'acqua evidentemente era più diretto e non "mediato" da forme architettoniche (rubinetto, tubatura), lo spazio era "infinito" rispetto ad una doccia o una vasca da bagno e la quantità di acqua a sua disposizione "illimitata" e non "dosata"; non vi era quindi alcuna barriera nel contatto con l'acqua, fonte per lui di estremo piacere.

La necessità di ristrutturazione del reparto, ormai fatiscente, ha portato all'interruzione di questa esperienza, poiché il paziente è stato trasferito altrove.


DISCUSSIONE

L'interesse suscitato da questo caso clinico ci ha stimolati a riconsiderare l'approccio ai pazienti con grave ritardo mentale (RMG). Si ritiene comunemente che le persone con RMG siano incapaci di acquisire nuove competenze a causa dell'arresto del loro sviluppo cognitivo alle primissime fasi, quali quella senso-motoria e quella dei primi elementi rappresentativi preoperativi. Effettivamente un approccio che si limiti a cogliere solo il deficit intellettivo e le turbe comportamentali, quasi sempre presenti nel RMG, contribuisce a rinforzare questo concetto.

La nostra modesta esperienza, sia con questo paziente che con altri gravi, mostra come l'"acquisizione di competenze" sia possibile anche in tali casi (cfr. il saggio di Levi e Antoniozzi, 1983), a condizione di integrare l'intervento con modalità di riferimento neuropsicologico (Piaget, 1968, 1979).

È ipotizzabile, nel nostro caso, che il paziente abbia scoperto per caso le sensazioni di piacere procurategli dal contatto fisico dell'acqua a livello cutaneo e che in seguito abbia tentato di ripetere quell'esperienza, per lui piacevole, giungendo a costruirsi, probabilmente, una "rappresentazione mentale" dell'acqua come qualcosa capace di dargli piacere e di alleviare la tensione, ricercandola anche quando essa non era immediatamente coglibile quale percezione visiva, ma nascosta in oggetti (le tubature, i rubinetti, ecc.).

Deve, probabilmente, anche essere giunto ad una sorta di categorizzazione degli "oggetti contenenti l'acqua", oggetti che cercava di manipolare per farne uscire il contenuto, mentre, ad es., non manifestava comportamenti violenti verso altri oggetti che non contenessero acqua; espressione di questa categorizzazione era anche il suo interesse per una fontanina (chiusa da un rubinetto) posta nei viali dell'ospedale, e che, prima di cominciare ad uscire dal reparto egli, evidentemente, non conosceva quale contenitore dell'oggetto capace di provocargli piacere.

La vista dell'acqua a tavola durante i pasti non evocava in lui diverse esigenze probabilmente perché in quel momento soddisfaceva altri bisogni fondamentali quali la fame e la sete, e peraltro il paziente mangiava e beveva in modo del tutto normale, utilizzando correttamente le stoviglie (posate, bicchieri) senza sporcarsi o bagnarsi, come la gran maggioranza dei pazienti con grave ritardo mentale.

Una ulteriore considerazione riguarda anche, potremmo dire, il livello cognitivo di riferimento cui si ponga il nostro intervento. Sinché si sono utilizzate modalità di approccio riconducibili, nel loro costrutto teorico, a stili cognitivi propri di stadi di intelligenza che non possedeva (stadio operativo), il paziente non aveva la possibilità di coglierne il significato relazionale e quindi di poter svolgere i compiti propostigli; concretamente ci riferiamo agli interventi direttivi, di sapore rieducativo-riabilitativo, che solitamente si utilizzano nei reparti per cronici (il disegno, il collage, gli approcci verbali, il gruppo, ecc.); una relazione diviene possibile, con i gravi, quando si riesca a costruirla sulla base di stili cognitivi pertinenti al loro stadio evolutivo.

Lavorando con persone il cui sviluppo intellettivo, a causa del grave ritardo mentale, stia ancora evolvendo dalla fase senso-motoria alla fase rappresentativa pre-operativa, le proposte e gli stimoli da offrire loro debbono venire costruiti sulla base dello stadio che il paziente sta attraversando. Come scrive Doman (1990) gli stadi di sviluppo possono essere immaginati quali corsi di studio: nessun bambino salta direttamente dalla scuola materna alla scuola superiore, o all'università, senza passare attraverso i vari gradi di scuola.


CONCLUSIONE

In questo caso clinico à stata soprattutto un'osservazione pragmatica a condurci allo sviluppo di una relazione con il paziente, altrimenti inaccessibile. Ci è sembrato utile riferirne non solo per il caso in sé ma anche per gli aspetti interpretativi ipotizzati.


RIASSUNTO

Gli AA riportano il caso di un paziente affetto da grave ritardo mentale con aspetti autistici evidenziando come, ponendosi in un atteggiamento di osservazione pragmatica, abbiano compreso le motivazioni del suo strano comportamento e siano riusciti a stabilire una relazione con lui.


SUMMARY

The AA report the case of a patient suffering of a serious Mental Retardation with autistic aspects underlining how, by a pragmatic observation, they have understood his strange behavior and they wer able to establish a relation with him.


BIBLIOGRAFIA

A.P.A.: DSM-III-R, Ediz. Ital., Masson, 1991.

Delacato C.H.: Alla scoperta del bambino autistico. Armando Editore, Roma, 1975.

Doman G.: Che cosa fare per il vostro bambino cerebroleso. Armando Editore, Roma, 1990.

Levi G., Antoniozzi I.: Oligofrenie, in Enc. Med. Ital., Vol. 10. USES Edizioni Scientifiche, Firenze, 1983.

Mahler M.: Le psicosi infantili. Boringhieri, Torino, 1972.

Piaget J.: La crescita dell'intelligenza nel fanciullo. Giunti-Barbéra, Firenze, 1968.

Piaget J.: Intelligenza, in Enc. Med. Ital., Vol. 7. USES Edizioni Scientifiche, Firenze, 1979.

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